Tartufo e letteratura: abbinamento inebriante!

Tartufo e letteratura: abbinamento inebriante!

Il tartufo ha sempre esercitato un grande fascino sugli uomini, poeti e scrittori inclusi. Scopri con noi i riferimenti artistici più curiosi su questa prelibata delizia.

In principio fu Giovenale: quando si parla di tartufo e letteratura, impossibile non citare il poeta e retore romano, autore di una delle definizioni del tartufo più ispirate. Lo chiamava Figlio del fulmine, facendo risalire l’origine del fungo ipogeo a un fulmine scagliato da Giove vicino a una quercia, albero sacro al Dio. Ecco un passo di una sua celebre opera, le Satire (secondo secolo d.C.)

"E poi porteranno i tartufi, se sarà primavera / e i tuoni benvenuti avranno fatto la loro opera per rendere migliori le cene".

Non fu il primo e non sarà certo l’ultimo incrocio di cultura e tartufo, un incontro che ha saputo regalare emozioni tanto quanto il prezioso frutto della terra sa donare un gusto inconfondibile a ogni pietanza con la quale si sposa.

Abbiamo raccolto per te alcune delle tappe più suggestive di questi incontri tra tartufo e arti letterarie. Vediamole insieme.

Tartufo e letteratura

  1. Teofrasto e l’origine del nome
  2. Petrarca e le Rime
  3. Molière e il Tartufo
  4. Il tartufo nella letteratura dell’Ottocento
  5. l Piemonte di Pavese, Fenoglio e Soldati

Teofrasto e l’origine del nome

I greci lo chiamavano ydnon (ὕδνον), termine dal quale deriva la scienza che ancora oggi li studia, l’idnologia. Le prime menzioni del tartufo ci sono arrivate da iscrizioni Babilonesi. Parliamo di oltre 5.000 anni fa: un tempo lunghissimo, che testimonia quanto duraturo e solido sia l’amore che unisce l’uomo a questa incredibile specie di fungo ipogeo.

Cheope, il faraone che regnò in Egitto circa 4.400 anni fa, era particolarmente amante dei tartufi. Alcune testimonianze storiche raccontano che era solito consumarli cotti.

L’antica Grecia fu patria di un primo rinascimento del tartufo: l’inventore di nuove ricette per consumarlo, Cherippo, ricevette nel terzo secolo a.C. la cittadinanza onoraria di Atene per sé e per i propri figli. Attestazione di uno sconfinato amore per il tartufo!

Il primo a utilizzare il termine ydnon fu il filosofo Teofrasto, in un trattato di scienze naturali, nel IV secolo a.C. Del fungo ipogeo si occuparono altri naturalisti dell’antichità (Plinio, tra gli altri); suggestiva la teoria di Plutarco, che nel primo secolo d.C. sostenne che il tuber nascesse a causa dell’interazione tra acqua, calore e la forza del fulmine.

Petrarca e le Rime

Se ripercorriamo la storia della letteratura, il primo importante riferimento che possiamo recuperare è Petrarca. Nel sonetto IX delle Rime scriveva:

“E non pur quel che s’apre a noi di fore/ le rive e i colli di fioretti adorna/ ma dentro, dove giammai non s’aggiorna/ gravida fa di sé il terrestre umore; onde tal frutto e simile si colga…”.

Un’ode del quattordicesimo secolo non è un cattivo inizio per parlare del tartufo in letteratura!

Molière e il Tartufo

Un altro grande autore si è confrontato con il tartufo, anche se in un’opera non lusinghiera per il raffinato fungo ipogeo. Si tratta di Molière, commediografo francese del diciassettesimo secolo.

Nell’opera Il Tartufo racconta di un personaggio non certo ammirevole, un truffatore, che deve il proprio titolo di Tartufo dall’associazione tra il nostro tuber e il concetto di truffa.

Un'associazione di significato che probabilmente deriva dal fatto che un malintenzionato agisce nell’ombra, di nascosto, al riparo dallo sguardo degli altri. Un po’ come il tartufo, che riposa sottoterra ed è restio a farsi scoprire. A differenza del Tartufo di Molière, il nostro Tuber Magnatum Pico non inganna, e l'unica cosa che può rubare è il cuore di chi lo assaggia!

Il tartufo nella letteratura dell’Ottocento

Se ci spostiamo nell’Ottocento, scopriamo altri due grandi autori che hanno menzionato il tartufo nei loro scritti. Partiamo dal nostro paese: Antonio Fogazzaro, autore di “Piccolo Mondo Antico” (1895).

Nelle pagine del suo romanzo scriveva:

“Volevo solo dirle” fece il curatone, coprendo il suo trionfo in modo da lasciarlo e non farlo vedere “che ci sono i tartufi bianchi”. “Direi che qui non mancano neppure i tartufi neri” osservò il marchese pigiando un poco sulle due ultime parole”.

Non soltanto i tartufi neri vengono citati nell’opera: fin dalle prime pagine si affacciano i bianchi pregiati. Li elenca infatti in poche parole:

“Tartufi bianchi, francolini e vin di Ghemme”.

Oltralpe, nella Francia del Dumas autore de "I tre moschettieri", Dumas padre scriveva dei tartufi nel dizionario da lui compilato e pubblicato postumo nel 1873.

“È stato chiesto agli uomini più colti di spiegare la natura di questo tubero, ma dopo duemila anni di discussioni e ragionamenti, la risposta è sempre la stessa: non lo sappiamo. La domanda è stata rivolta ai tartufi, che hanno risposto semplicemente: mangiateci e ringraziate il Signore”.

E ancora, sempre parlando di tartufo, scriveva:

"Tartufo, nome che i golosi di tutte le epoche non hanno mai pronunciato senza portare la mano al cappello".

Gioacchino Rossini, compositore, musicista e amante della buona tavola, riuscì a descrivere in pochissime parole il tartufo, in un modo che ancora oggi... suona meraviglioso! Ecco che cosa disse:

"Il tartufo è il Mozart dei funghi".

Il Piemonte di Pavese, Fenoglio e Soldati

La nostra regione, il Piemonte, ha un’importante tradizione letteraria. Anche le Langhe. Partiamo dunque da Pavese e Fenoglio, cantori della Resistenza e autori celebrati per una modernità di stile che ancora oggi affascina moltissimi lettori.

Entrambi hanno avuto modo di raccontare le Langhe e il tartufo, in modo particolare il Tuber Magnatum Pico, celeberrimo Tartufo Bianco d’Alba.

Pavese scrisse:

“Fin da ragazzo, mi pareva che andando per i boschi senza un cane avrei perduto troppa parte della vita e dell’occulto della terra”.

Bellissimo passaggio, che oltre a evocare il fascino misterioso del tartufo (“l’occulto della terra”), celebra la relazione inscindibile tra uomo e cane, sacra tra i trifolau.

Nelle parole di Fenoglio è facile scoprire descrizioni e scorci che rappresentano non tanto (e non solo) un territorio come le Langhe, ma un modo di essere, uno spirito che abita questi luoghi, molto cambiato rispetto a sessant’anni fa, ma non così diverso per suggestioni, riti e forme.

Un ultimo cenno doveroso quando si parla di Piemonte e letteratura, anche se in questo caso si va leggermente fuori tema, è l’ambiziosa opera di Soldati intitolata “Viaggio nella Valle del Po – alla ricerca dei cibi genuini”.

Non la troverai in libreria: è un reportage realizzato dall’autore negli anni ’50 del Novecento, trasmesso dalla RAI.

Attraverso persone, ricette, usanze, prodotti e riti lo scrittore e giornalista raccontò l’Italia all’Italia, contribuendo ad accorciare la distanza tra regione e regione e a ricucire antichi strappi attraverso il più antico dei rituali. Sedersi intorno a un tavolo, parlare della propria tradizione con orgoglio e condividere qualcosa di speciale da mangiare.

Qualcosa di speciale come il tartufo.

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